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LE RADICI E LE ALI

..conservando la memoria delle lotte e delle resistenze contro le ingiustizie... alzandoci in volo per conquistare il cielo.....

sabato 17 ottobre 2009

Resistenza e revisioni storiche: cazzi nostri


Chi mi conosce sa che non mi sono mai stracciato le vesti sbraitando contro i "revisionismi", né ho mai presidiato i mausolei della Memoria Storica.
Il passato va rimesso in gioco, costantemente, radicalmente. Non si può che essere revisionisti, nel senso che bisogna ri-vedere, adottare nuovi sguardi, giocare d'anticipo. .
E con me tanti antifascisti conseguenti ( come si diceva una volta….) o piuttosto semplicemente coerenti.
Siamo una "stecca" nel coro di proteste indignate contro Storace e la sua proposta da Min.Cul.Pop., ma è il coro che stona, non noi.
Questa querelle è solo la più recente conseguenza di gravi errori della sinistra, in particolare di quella istituzionale, togliattiana, il filo nero della realpolitik che va dal PCI ai DS.
Per decenni ci è stata proposta una stucchevole oleografia, "pedagogia resistenziale" fondata sull'edulcorazione, rimozione degli aspetti più controversi della guerra partigiana a vantaggio di una rappresentazione patriottica-frontista sciapa come il testo di "Bella ciao" (c'erano canzoni partigiane molto più forti e belle, da "Pietà l'è morta" alla "Badoglieide").
Nel 1990 le facoltà occupate pullulavano di superficiali cultori di una non-violenza a-storica, trascendentale; ebbene, a volte capitava di sentirli cantare "Bella ciao", e se gli facevi notare che i partigiani erano armati, sparavano, condannavano a morte, ecco che gli sguardi si spegnevano. La Resistenza era diventata uno dei tanti elementi di un'identità di sinistra fai-da-te, annacquata, buonista, tipo foto del Che Guevara incollata su una pagina della Smemoranda (il Che era un guerriero coriaceo e spietato, altro che non-violenza!).
In questa ricostruzione sembra quasi che i partigiani non sparassero, non fucilassero, non spargessero sangue né toccasse loro rimestare nelle interiora umane.
Effetto boomerang: l'edulcorazione fa il gioco dell'avversario, che non fatica a rovesciarla in demonizzazione. La destra propone come oggetto di scandalo il fatto che i partigiani... uccidessero. Bella scoperta!
Eppure è una scoperta, o perlomeno una riscoperta.
Le foibe, le esecuzioni sommarie di Moranino, il "Triangolo della Morte"... Tutte cose perfettamente comprensibili, una volta inserite nel contesto di uno scontro violentissimo, guerra civile fatta di torture e rappresaglie, dove ci si doveva difendere da spie e infiltrati e c'era poco tempo per il "garantismo". "Nel dubbio sopprimete". Una cosa tanto all'ordine del giorno che tocca farla anche al partigiano Johnny (di cui molti parlano bene senza aver letto il libro).
Certo, ci andarono di mezzo anche degli innocenti, perché l'odio può farti volare col pilota automatico e la guerra (qualsiasi guerra) non fa sconti a nessuno. Questo non autorizza gli eredi delle Brigate Nere - che il pilota automatico non lo staccarono mai - a farci discorsi ex cathedra.
[N.B. I suddetti innocenti non erano mica tutti anticomunisti: c'erano anche un trotzkista (Pietro Tresso) e qualcuno della Sinistra Comunista. Ci furono (per fortuna pochi) episodi di "fratricidio", come nella guerra civile spagnola. Ma questi - per dirla con Vitaliano Ravagli - "son poi cazzi nostri".]
Le foibe, poi... guai a narrare gli antefatti, sennò diverrebbe comprensibile la reazione degli sloveni dopo angherie, espropriazioni di terre, rastrellamenti, persecuzioni razziste da parte del regime d'occupazione italiano che li considerava uentermenschen, subumani. Quanti libri sulla guerra partigiana fanno davvero sentire il tanfo di morte e di merda, vermi che rimestano nelle piaghe aperte, esalazioni di viscere putrefatte?
E' colpa della sinistra storica, delle eccessive cautele consociative del Partito "di lotta e di governo", se tutto questo non è senso comune: l'uso della violenza andava spiegato, se non sempre rivendicato, con chiarezza e decisione, anche per quel che riguarda gli episodi "equivoci". Se rimuovi parti della tua storia, sarà il nemico a impadronirsene per riscriverla in toto. Se improvvisi a vanvera sul tema della "riconciliazione" e sulle "ragioni" di chi stava dall'altra parte, con SS e repubblichini, non puoi aspettarti che i loro discendenti ti ricambino la cortesia. Se abbassi la guardia, l'avversario ti colpisce più duro.
A questo punto non serve a niente arroccarsi, stare sulla difensiva: al contrario, occorre rimettere tutto in gioco, scavare, trovare e raccontare storie a suo tempo accantonate perché non trovavano posto nell'antinomia santificazione/demonizzazione. Restituire al passato la sua complessità. E' quello che abbiamo cercato di fare lavorando con Vitaliano Ravagli, è quello che continueremo a fare in futuro.
Complessità. Quanti sanno che l'attuale vulgata sulla Resistenza non risale più indietro degli anni Sessanta, e che le celebrazioni istituzionali si imposero col primo centrosinistra, quando la DC allargò la coalizione governativa al PSI di Nenni? Prima c'erano stati vent'anni di rimozione, epurazione al contrario, repressione anti-partigiana che aveva costretto all'espatrio centinaia e centinaia di compagni. Forse la repressione è stata interiorizzata, a un certo punto è diventata auto-repressione. Ci sono storie di allora e di oggi che mettono alla prova chi le ascolta, tradiscono ogni aspettativa, ce la sbattono in faccia, la complessità.
La storia di Angiolo Gracci "Gracco", comandante partigiano della Brigata Garibaldi "Vittorio Sinigaglia", medaglia d'argento al valore militare, liberatore di Firenze, sospeso dall'ANPI per aver attaccato la NATO durante un discorso commemorativo (25 giugno u.s., 56° anniversario della battaglia di Pian d'Albero, presso Figline Valdarno).
La storia di Spartaco Perini, oggi pluriottantenne, fondatore della Resistenza ad Ascoli, medaglia d'argento, perseguitato prima, durante e dopo la guerra, fuoriuscito dall'ANPI che lui stesso aveva fondato, isolato in città per i suoi attacchi alla giunta di destra e la sua vicinanza all'ambiente dei centri sociali. Ce ne sono, di asce di guerra sepolte pochi centimetri sotto i nostri piedi. La sensazione di noia che ci ha sempre invasi nel sentir parlare di Resistenza ci ha a lungo impedito di considerarla una guerriglia. Tutte le generazioni successive della sinistra hanno desiderato sentirsi parte di una comunità aperta, transnazionale e trans-epocale, basata sulla condivisione di un immaginario combattente... La "pedagogia resistenziale" ha sottratto materia prima a quest'importante processo mitopoietico, e si è dovuti ricorrere alle importazioni dal Terzo Mondo (non sempre materiali di prima scelta, peraltro).
Oggi più che mai, di queste cose non si dovrebbe parlare, sono estranee alla realpolitik, non fanno pendant col ghigno di Piacione, le serate al Jackie O' di Roma, il catamarano di D'Alema, Bertinotti in prima fila ai concerti di Venditti...

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