span.fullpost {display:inline;}

LE RADICI E LE ALI

..conservando la memoria delle lotte e delle resistenze contro le ingiustizie... alzandoci in volo per conquistare il cielo.....

mercoledì 5 agosto 2009

Dubai : tra il paradiso e l'inferno


Isole artificiali, alberghi extralusso e grattacieli postmoderni hanno creato la favola dell’emirato “full-divertimento”. Ma per i lavoratori immigrati vivere a Dubai è un inferno.
Lo sceicco Mohamed, il signore assoluto di Dubai, ha il suo ritratto collocato sopra ben più della metà degli edifici della sua creazione.
Quest’ uomo ha venduto Dubai al mondo come la città delle mille e una luce, come la Shangri-la mediorientale al riparo dalle tempeste di sabbia che spazzano la regione.
Una Manhattan ancora più esagerata e splendente…..

Ma qualcosa nel sorriso dello sceicco Mohamed ha cominciato a vacillare . Le gru sembrano essersi bloccate, come sospese nel tempo, ovunque si vedono edifici abbandonati, incompleti. A cominciare dal gigantesco Hotel Atlantis – un castello rosa costruito in mille giorni, costato un miliardo e mezzo di euro – che adesso sembra l’icona stessa della Dubai che verrà : piove dai soffitti e le tegole si staccano dal tetto.
Questa specie di isola che non c’è è stata edificata su una fantasia che adesso mostra il volto delle sue sempre più numerose crepe . Sempre meno assomiglia a una Manhattan al sole e sempre più a una Islanda nel deserto.

Ora che la frenetica ondata edilizia si è fermata e il vortice della crescita spasmodica ha rallentato, i segreti di Dubai comincia silenziosamente e venire fuori : una città tirata su dal nulla e fondata sul credito dissennato, sull’ecocidio, sulla repressione di qualsiasi voce “stonata”, sullo sfruttamento schiavistico.

Sì. Avete letto bene . Schiavismo, schiavitù, schiavi , catene. Quelli sono i termini per descrivere ciò che accade in un paradiso per pochi eletti e in un inferno per tanti disgraziati e miserabili in cerca di un futuro qualunque.

Il parcheggio di uno dei più rinomati alberghi di Dubai. Qui incontro Karen Andrews.
Una donna esile e spigolosa, con in volto la luminosità sbiadita tipica degli ex ricchi.
Karen non riesce a parlare. Ogni volta che comincia a raccontare la sua storia, china la testa e si accartoccia su se stessa.
Vive e dorme qui da mesi.Nella sua Range Rover. Nessuno ha il coraggio di cacciarla anche da lì.
Karen non avrebbe mai pensato che il suo sogno di Dubai sarebbe finito così.
Mi racconta la sua storia singhiozzando.
E’ arrivava a Dubai nel 2005. Quando una multinazionale ha offerto a suo marito un posto da alto dirigente. Dopo le prime titubanze, atterra in quello che da lì a poco gli sembrò una “Disneyland per adulti” con lo sceicco Mohamed nel ruolo di Topolino.
Racconta….”…la vita era fantastica. Appartamento enorme , un esercito di camerieri, non si pagava un soldo di tasse…sembra che in giro ci fossero solo ricchi…passavamo da una festa all’altra….”.
Suo marito acquistò persino due proprietà immobiliari.
Poi improvvisamente, e per la prima volta nella sua vita, Daniel, suo marito, ha cominciato a fare pasticci nella gestione delle loro finanze : all’inizio sembrava qualche debito in più, un po’ di confusione nella gestione del bilancio familiare.
Karen ha capito il motivo di quei debiti, cosi’ inspiegabili, un anno dopo, quando a Daniel è stato diagnosticato un tumore cerebrale.
Le spese mediche per accertamenti facevano lievitare il peso di quei debiti.
Pensavano che a Dubai funzionasse come in qualsiasi democrazia occidentale ; ma non era cosi’.
A Dubai l’idea di fallimento non esiste, se fai debiti e poi non riesci a saldarli finisci in prigione.

“….Quando l’abbiamo scoperto abbiamo deciso di andarcene da qui…..la buonuscita sarebbe servita a pagare i debiti e andarsene”.
Invece la buonuscita non basto’ a pagare i debiti che restarono sulla loro testa come una condanna.

A Dubai quando lasci un impiego il datore di lavoro è tenuto ad informare la tua banca . Se non saldi immediatamente i tuoi debiti, ti congelano i conti, ti bloccano le carte di credito e ti proibiscono di lasciare il paese.
Sono anche stati sfrattati dalla casa dove abitavano.

Quel giorno, proprio quel giorno, Daniel è stato arrestato e portato via.
Daniel è stato condannato a sei mesi di carcere senza capire una parola del processo perché è stato celebrato in arabo.

“adesso sono anch’io qui illegalmente “ dice Karen , “ non ho soldi, non ho niente, ma devo resistere in qualche modo ancora sei mesi finchè lui non esce”..
Gira lo sguardo quasi vergognata…e mi chiede se posso pagarle un pasto…..

Dubai è piena, mi racconta Karen mentre pranziamo in un ristorante li’ vicino, di espatriati in queste condizioni. Stranieri senza soldi e quindi senza diritti che dormono dove capita nascondendosi alle autorità.

Alla fine Karen ha come uno sfogo, qualcosa che proviene dalle sue viscere, prima che dal suo cervello . Con un tono quasi selvatico urla : “.....questa non è una città, è un imbroglio. Ti attirano dicendoti che è un posto moderno ma dietro le apparenze ti ritrovi nel Medioevo…”.

Sahinal Monir è un ragazzo di 24 anni originario del Bangladesh. Lo ascolto con attenzione osservando il suo viso emaciato e sofferente e il suo corpo estremamente smilzo.

“ ….per farti venire qui ti raccontano che Dubai è un paradiso. Poi arrivi qui e scopri che Dubai è un inferno…..”.

Quattro anni fa nel villaggio di Sahinal, nel sud del Bangladesh, si è presentato un agente di collocamento. Ha detto agli uomini del villaggio che c’era un posto dove avrebbero potuto guadagnare 40 mila takka al mese ( 450 euro circa ndr.) lavorando in un cantiere edile dalle 9 alle 5. Laggiù avrebbero trovato alloggi comodi, vitto eccellente e un ottimo trattamento.
Non dovevano far altro che versare una quota di 220 mila takka per il permesso di lavoro, che avrebbero poi avuti rimborsati mensilmente.
E così Sahinal ha venduto i terreni della sua famiglia, si è fatto prestare dei soldi dallo strozzino del villaggio, ed è partito verso…il paradiso chiamato Dubai.

Appena arrivato all’aeroporto l’impresa edilizia che l’aveva ingaggiato gli ha tolto il passaporto : non l’avrebbe più rivisto.
Poi è stato informato che avrebbe lavorato 14 ore al giorno nel deserto, (dove ai turisti è sconsigliato di sostare più di 5 minuti ) dove la temperatura raggiunge i 55° .
Il tutto per una paga mensile di 500 dirham ( poco più di 100 euro ndr). Meno di un quarto di quanto gli avevano promesso.
Se non ti sta bene- gli avrebbe rudemente detto il manager dell’impresa- puoi tornartene a casa.
Tornare a casa ? E come ? Loro hanno il passaporto e Sahinal non ha i soldi per il biglietto.
E allora fila a lavorare…gli è stato risposto.

Sahinal è stato preso dal panico, Avrebbe guadagnato meno che in Bangladesh mentre i suoi , genitori moglie, figli avrebbero invano atteso le sue rimesse per sopravvivere e ripagare i debiti fatti.

Mi fa vedere la sua stanza. Una cella di cemento armato con cuccette a tre piani. Dodici esseri umani in quell’ angusto spazio , senza gabinetti o meglio con un buco per terra come latrina ( il fetore è insopportabile…), senza climatizzazione, senza nemmeno un ventilatore. E siamo in pieno deserto arabico…..

Non si riesce a dormire. Di notte, mi raccontano, si passa il tempo sudando e grattandosi.
L’acqua che arriva all’accampamento non è destalinizzata ; è salmastra , ci da la nausea, ma non c’è altro da bere, mi dicono.

Ma la cosa peggiore è il lavoro. Devi trasportare mattoni e blocchi di cemento da 50 chili con un caldo inimmaginabile. Sudi al punto che per giorni non riesci a pisciare perché tutti i liquidi ti vengono fuori dalla pelle.

Non è permesso fermarsi se non un’ora al pomeriggio. Se fai cadere qualcosa o scivoli rischi di morire perché qui ogni protezione e ogni presidio di sicurezza è assolutamente sconosciuto.

Si vive ( parola esagerata in queste condizioni…) e si lavora come schiavi.

Chiedo alla ragazza filippina dietro al bancone del bar dell'Hotel dove alloggio se Dubai le piace .
“Non c’è male “ mi risponde cauta.
“Davvero ? Io non la sopporto più”
Lei tira un sospiro di sollievo e si lascia andare “… E’ un posto spaventoso. Non la sopporto nemmeno io : a Dubai è tutto finto. Gli alberi i contratti di lavoro, le isole , i sorrisi….pure l’acqua è finta.

Ma lei, anche lei, mi spiega è in trappola. Per venire qui si è indebitata e adesso deve restarci 3 anni. La solita storia sentita decine di volte. La moderna catena degli schiavi è il denaro, il credito, il prestito.

“ Secondo me “ – aggiunge - “ Dubai è come un miraggio nel deserto, non ha nulla di reale. Da lontano sembra acqua, ma quando provi a berla ti ritrovi la bocca piena di sabbia”.

In quel momento entra un altro cliente . La ragazza sfodera il sorriso largo e vuoto tipico di Dubai …”desidera …?”.

E’ carina. Molto. Ma appare pietosa nelle rughe che intravedo dietro quel sorriso di circostanza .
Il pensiero mi va alle storie italiane lette ieri sera su internet : storie di fanciulle, di uomini ricchi e potenti, di lussi, agi e feste mondane…….

Mi sento impotente, inutile e un po’ colpevole. Come sospeso tra il paradiso e l’inferno di una notte a Dubai…….

Etichette:

0 Commenti:

Posta un commento

Iscriviti a Commenti sul post [Atom]

<< Home page