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LE RADICI E LE ALI

..conservando la memoria delle lotte e delle resistenze contro le ingiustizie... alzandoci in volo per conquistare il cielo.....

martedì 25 agosto 2009

La carità di Sacconi


E’ bastata un’intervista al Corriere della Sera per lanciare la “ Campagna d’Autunno del Governo” come l’ha lucidamente definita Loris Campetti sul Manifesto.
Autore della stessa, e non poteva essere altrimenti, il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi.
Un personaggio Sacconi, che si vanta di essere stato socialista, che probabilmente si ritiene uomo di sinistra , che forse ritiene di avere a cuore i bisogni e gli interessi della povera gente e dei lavoratori…ma che forse , più probabilmente , da piccolo dev’essere caduto dal sediolone……

Nella realtà, più concretamente, il modello sociale che propone ai colleghi di esecutivo, ai sindacati “complici” firmatari dell’accordo sulla contro-riforma dei contratti, demolisce non soltanto un modello di relazioni sindacali ma quel che resta della nostra storia sociale, politica e culturale.

Di che modello sociale si tratta?

Dalle sue parole emerge un sistema di relazioni incentrate sull’esaltazione della competitività e sulla liquidazione di ogni forma di solidarietà generale tra i lavoratori e tra le generazioni.
Si ribadisce, infatti, lo svuotamento dei contratti nazionali di categoria rinviando ogni forma di simulata contrattazione al secondo livello. Ovvero a quello aziendale e/o territoriale.

Secondo livello che, sotto i colpi della crisi, in un Paese come l’Italia segnato dalla frantumazione del sistema industriale in piccole e piccolissime aziende e con un mezzogiorno dove i contratti aziendali (spesso anche quelli nazionali per la verità) sono inesistenti, è, nei fatti, un lusso per pochi.

Con una mossa truffaldina, il sagace Sacconi, boccia il piano di Bossi per l’introduzione delle gabbie salariali, riproponendole surrettiziamente in forma ancora più odiosa e peggiore. I salari si differenzieranno attraverso il decentramento contrattuale e sara’ definito dalle parti sociali sulla base del costo della vita e della produttività.

Non siamo tutti uguali, sbotta Sacconi, per cui bisogna differenziare, cioè dividere.

A chi resta indietro, chi è meno competitivo, chi non ha accesso a sostegni e solidarietà, avrà la garanzia ( si fa per dire” di una sorta di “welfare caritatevole” basato sul concetto di “dono”.
No, non stiamo scherzando. All’universalità dei diretti , al welfare pubblico e universale, si sostituirà un sistema di assicurazioni private ( per chi ne avrà la possibilità) e su “donazioni caritatevoli” da parte di chi più ha.
Una strage dei diritti sostituiti dalle donazioni dei ricchi di buona volontà.
Le disuguaglianze non sono un effetto collaterale delle politiche economiche, ne sono un elemento costitutivo.

Un modello sociale che demolisce diritti, rappresentanza e valori costituenti.
Un tentativo di disegnare un Paese diverso da quello che abbiamo conosciuto fino ad adesso.
Ci riguarda tutti e chiede una risposta forte e all’altezza delle posta in gioco.
Senza “se” e senza “ma”.

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Quei morti che gridano dal fondo del mare


Rubo volutamente il titolo ad un articolo di Eugenio Scalari volutamente . Non trovo parole diverse per esprimere un sentimento di orrore, di disgusto, di preoccupazione e di umana pietà.
Mi riferisco a quella che viene ormai definita la tragedia di “Lampedusa” o dei “73 migranti morti in mare”. Ho inserito io il termine “migrante” al posto dell’abusato e infame “clandestino”.


E’ purtroppo questo il termine usato dalla stampa nazionale quando ha ritenuto necessario ritagliare uno spazio a una tragedia avvenuta alle porte del Paese, tra Lampedusa e Malta. Isole fantastiche e bellissime per le vacanze di tanti italiani ma teatro di sempre più frequentemente di avvenimenti orribili che coinvolgono poveracci semplicemente in cerca di miglior sorte.

Il primo giorno tanti giornali hanno aperto con questo avvenimento : numero delle vittime, cronaca estratta dalle testimonianze dei cinque sopravvissuti, le perplessità oscene ( non trovo altro aggettivo) del Ministro Maroni sulla loro attendibilità, le colpe della marina maltese, la raccolta dei primi commenti.
Un copione già visto innumerevoli volte. Compresi gli insolenti e stupidi “chissenefrega” del duo Bossi & Calderoni .

Già l’indomani i nostri quotidiani si erano voltati dall’altro lato. Le notizie sopraggiunte, tranne qualche lodevole caso. Sono volate nelle pagine interne lasciando la prima pagina a ben più importanti cronache : le vacanze in Sardegna di Noemy Letizia e i voli della “speranza” di quanti vengono in Italia per giocare al Superenalotto.

Ciò non è avvenuto, concordo con Scalfari e altri, per la cattiva coscienza di Direttori e Capiredattori. E’ potuto avvenire perché specchio, riflesso, effetto di un profonda indifferenza che si è insinuata nello “ spirito pubblico “ del paese , ormai oscillante tra il “tirare a campare”, senza memoria né prospettiva, rintronato dalle televisioni che sfornano trasmissioni insensate a getto continuo e giornali codini, servili e di pessima qualità.

( ndr se Veline, show girl ed escort sono giunte nelle aule delle istituzioni perché non dovrebbero essersi piazzate nelle redazioni dei giornali ?)

Perfino la Chiesa e la stampa diocesana è stata censurata dai report dei quotidiani e dai notiziari TV. Solo Bossi ( sempre lui !!!) ha trovato modo e maniera per mandare il Vaticano quel paese ed invitando i “preti “ a prendersi a casa i clandestini “..perchè noi non li vogliamo….”.

Che dire ? Alla vergogna c’è un limite. Noi l’abbiamo varcato da un pezzo tra la generale apatia e afasia.

Le responsabilità . Argomento che in molti commenti veniva addirittura prima della vicenda in sé : ovvero della morte di 78 esseri umani.
Le responsabilità sono evidenti e molteplici.
Un barcone con 78 persone a bordo va alla deriva per 20 giorni in un tratto di mare percorso da motovedette, pescherecci, aerei, navi da crociera ecc.

La prima responsabilità specifica è pero’ da addebitare alla nostra Marina e alla nostra Aviazione per il mancato avvistamento. Non è possibile non avvistare un barcone di 15 metri sballottato dai venti in una porzione di mare grande più o meno come un campo di regata.
I Ministri Maroni (Interno) e la Russa (Difesa), dovrebbero fornire al Parlamento ma anche alla pubblica opinione l’elenco dei voli e dei pattugliamenti in quella zona del Mediterraneo. Sono loro in quanto responsabili della guardia costiera, delle capitanerie di porto e delle forza armate a doverci qualche risposta.
L’unica cosa che hanno saputo fare è stato chiedere al Prefetto di Agrigento una relazione sull’accaduto. Il Prefetto ? E cosa c’entra il Prefetto ?

Una seconda responsabilità specifica riguarda il pattugliamento italo-libico sulle coste della Libia, lì da dove presumibilmente è partito il barcone in oggetto.
Non era stato sbandierato ai quattro venti come un grande successo diplomatico l’accordo di collaborazione con Gheddafi per bloccare in Libia i viaggi dei “clandestini” ?
La realtà che questi sono i risultati non soltanto di quel sottile razzismo che è stato instillato nelle pieghe della società italiana ( e forse più delle pieghe…) ma soprattutto di una legge sciagurata salutata incoscientemente come un successo, come una guerra vittoriosa contro le invasioni barbariche.
Questa legge deve essere abrogata perché indegna di un paese civile e perché assolutamente inutile, anzi dannosa.
Un esempio ?
Gli immigrati arrivano a frotte più che dal Mediterraneo dai valichi dell’Est. Non arrivano per mare ma in pullman, in automobile, in aereo.
Alimentano lavoro regolare ma anche in nero : in tutta la Padania e altrove.
I “famigerati rom & rumeni” vengono via terra e non via mare : la vostra legge non solo è indecente e obbrobriosa, ma è anche un colabrodo!!!!!

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mercoledì 19 agosto 2009

MAFIA Gli intrecci tra politica e affari nel sud del Lazio, serbatoio elettorale del Pdl


Gli smemorati di Fondi.Berlusconi e Maroni non sciolgono il comune pontino: «Nessuno è indagato».
Si sta trasformando in un nuovo caso Cosentino l'affaire Fondi, dopo l'inedita difesa da parte del presidente del consiglio del comune pontino. Mai era avvenuto che per difendere un'amministrazione accusata - da un prefetto e dalla Dda - di essere collusa con le mafie intervenisse direttamente il Presidente del Consiglio.
Silvio Berlusconi ha speso la sua parola e la sua faccia per garantire che un piccolo comune di 35 mila abitanti della provincia di Latina - Fondi - è immune dal condizionamento mafioso. Lo ha fatto nella sala stampa del ministero dell'Interno, accanto al ministro Maroni, spiegando come «diversi ministri abbiano fatto notare come nessun componente della giunta o del consiglio comunale del comune di Fondi sia stato toccato da un avviso di garanzia». Una mezza bugia, nata per nascondere verità imbarazzanti.
Una serie d'inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Roma - una delle quali, contro i gruppi federati ai casalesi di Castelforte, già arrivata a sentenza di condanna un mese fa - sta scoperchiando quella che Libera chiama «la quinta mafia». Ovvero un laboratorio di un nuovo livello particolarmente pericoloso - perché ben nascosto e mimetizzato nelle istituzioni - dove si sta giocando la partita sul controllo della regione Lazio, che andrà al voto il prossimo anno.
La seconda inchiesta - partita nel 2005 - denominata «Damasco» è quella che ha travolto il comune di Fondi e il Mof, il secondo mercato ortofrutticolo d'Europa, punto di scambio della frutta e della verdura che proviene dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia, diretta ai banchi alimentari di tutta Europa. Due inchieste che hanno in comune una famiglia ben conosciuta e temuta da queste parti, i due fratelli calabresi Carmelo e Venanzio Tripodo.
La mafia nel Lazio non si accontenta delle armi e della droga.
Il gruppo Tripodo - secondo l'antimafia e il prefetto di Latina - da anni ha stretto legami di ferro con una parte del centro destra nel sud del Lazio. Un'alleanza, quella con la politica, indispensabile per il salto di qualità verso la mafia imprenditrice. I magistrati hanno avuto diverse conferme in tal senso: gli affari con il comune di Fondi - amministrato da Luigi Parisella, socio in affari e in politica del senatore del Pdl Claudio Fazzone, vero dominus della zona - scorrevano lisci come l'olio, grazie ai tanti favori che i principali dirigenti avrebbero garantito al gruppo legato alla 'ndragheta.
Chi sono i Tripodo lo racconta uno dei principali collaboratori della 'ndrangheta calabrese, Giacomo Lauro. «I fratelli Tripodo trafficavano in droga trasportata da noi calabresi. I loro guadagni erano elevatissimi - ha spiegato ai magistrati della Dda di Roma - e venivano investiti in particolar modo in acquisti di immobili». I loro affari sono rapidamente passati, dagli anni '90 ad oggi, dalla droga e dalle armi alla «economia ordinaria».
La rete d'influenza dei due fratelli arriva molto lontano. Luigi Peppe - imprenditore del Mof, fratello di Franco, che è stato arrestato insieme ai Tripodo nell'inchiesta Damasco - è oggi in società con il sindaco di Fondi Luigi Parisella e con il senatore Fazzone. Due politici che hanno fatto carriera insieme, da quando Fazzone lasciò l'incarico di capo scorta di Nicolò Mancino - erano gli anni '90 - per entrare in Forza Italia. E nell'inchiesta appare anche un collaboratore che racconta di presunti legami diretti tra i Tripodo, Fazzone e il sindaco di Fondi Parisella. Dichiarazioni che i magistrati hanno chiesto agli investigatori di valutare con molta attenzione.

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venerdì 14 agosto 2009

Giorgio Bocca ha ragione


Giorgio Bocca è un giornalista straordinario, autore di articoli criticabili quanto si vuole, spesso additato per le sue scelte controcorrente ma sempre nette, coerenti e trasparenti . A Bocca non manca il coraggio delle sue idee , l’entusiasmo, giovanile alla sua veneranda età, e la lucidità di analisi impietose ma sempre aderenti alla realtà.
Questa volta lancia la sfida in alto : molto in alto.
Verso una delle quelle istituzioni considerate in maniera quasi “bi-partisan” sacra : l’Arma dei Carabinieri.

Lo fa dalle colonne dell’Espresso sfidando il quieto vivere dell’opposizione e il collateralismo peloso di questo Governo, un Governo di Nani, Showgirl, Escort ma anche di fascisti.
Vi risparmio il coro infame delle critiche e vi espongo il fulcro del suo ragionamento e soprattutto la sua semplice esposizione dei fatti. Fatti pesanti, accertati e incontrovertibili.

L’architrave dell’articolo di Bocca risiede in questa affermazione : i Carabinieri in Sicilia devono accettare un patto di convivenza con la Mafia. I Carabinieri , come la presenza molecolare della Mafia , non sono qualcosa di estraneo nel tessuto della società siciliana.
Anzi, assieme alla Chiesa, costituiscono oggi le uniche realtà “strutturali” presenti dovunque.
Usando una frase che sembra tratto dalle pagine di Sciascia, o io direi di Roberto Saviano, ovunque, in qualsiasi paese, rione e borgata c’è una Chiesa, c’è una caserma dei Carabinieri e c’è una cosca Mafiosa.
E’ la sociologia urbana a descriverci questa stratificazione territoriale della società siciliana e sono milioni di pagine di indagini o sentenze giudiziarie a descriverci il territorio siciliano dominato da un grumo di interessi che mette assieme interessi legali e illegali, Stato e Anto-stato, economia e accumulazione criminale, attività lecite e illecite.
Sul territorio siciliano non vive la leggenda della lotta senza quartiere tra guardie e ladri : sul territorio e attraverso il controllo di esso si riannodano i fili di un patto di coesistenza condiviso dalla Mafia quanto dagli organi dello Stato ; a tutti i livelli, politico-amministrativo, quanto repressivo-giudiziario.
In questo contesto i Carabinieri non sono, né potrebbero mai essere, un mondo a parte.

Ma accanto a questa riflessione generale e a forte impronta sociologica, è necessario, e Bocca lo fa con dovizia di particolari, citare fatti espliciti che possano sostenere sul piano del giudizio storico-politico, quanto sostenuto prima.
Si citano alcuni casi giudiziari che riguardano “attenzioni speciali” riservate dai Carabinieri nelle operazioni di Mafia.

1. La mancata perquisizione del covo di Toto’ Riina quando costui venne catturato il 15 Gennaio 1993. Ricordiamo che quella villetta, casa del “Capo dei Capi” sita a Palermo in Via Bernini, viene “dimenticata “ fino al 2 febbraio dello stesso anno. Si cattura uno dei maggiori ricercati mondiali , uno dei criminali più noti al mondo, eppure…la sua abitazione viene ritenuta non meritevole di una sbirciatina ….per due settimane!!!!! E’ ovvio che venga trovata completamente spoglia e disabitata …..chiunque avrebbe avuto tutto il tempo di traslocare qualsiasi materiale compromettente e utile alle indagini,
Per questa “dimenticanza” vengono processati e assolti – su richiesta del PM A.Ingroia –l’allora comandante del ROS Generale Mario Mori e il famoso Capitano “Ultimo” Sergio De Caprio.


2. Toto’ Riina ha parlato nei giorni scorsi- tramite il suo legale- di una trattativa avviata dai Carabinieri con Cosa Nostra, il famoso “papello”. Dello stesso tentativo di accordo/scambio (di cosa ?)/mediazione, si trova testimonianza nelle dichiarazioni di Massimo Ciancimino , figlio di Vito, colui che quel canale di comunicazione Carabinieri-Mafia sembra aver avviato. Chi l’interlocutore per parte dello Stato ? Sempre il Generale Mario Mori.


3. Un pentito di Mafia, Angelo Siino, accusa il Procuratore Guido Lo Forte di connivenze mafiose. Lo Forte era uno dei piu’ stretti collaboratori di Giancarlo Caselli il procuratore Nazionale Antimafia.
Chi i latori di questa confessione ? Sempre il Generale dei Carabinieri Mario Mori stavolta in compagni del suo Vice Giuseppe De Donno.

4. La mancata cattura di Bernardo Provengano altro Boss latitante eccellente. Nel 2001 il Generale Mario Mori (ancora lui !!!!) pare avesse ignorato l’informazione di un pentito sul possibile nascondiglio del pericoloso criminale. Perche’ lo fece ? Faceva parte del “Patto” di cui al punto 2 ?
Per questa vicenda il generale Mori è tuttora sotto processo con l’accusa di favoreggiamento aggravato.

Due fatti curiosi .
Un Generale dell’ Arma sul cui capo pendono simili sospetti viene assunto dal Sindaco di Roma Alemanno come “ Consulente alla sicurezza “ e sarà incaricato di conseguenza dell’addestramento delle “ Ronde” capitoline .

Il Governatore della Lombardia Formigoni, ha nominato lo stesso Mori assieme al suo fidato Vice De Donno, in una task –force che si occuperà “antimafia” che vigilerà sulle possibili infiltrazioni nei lavori per Expo 2015.


C’è anche un punto 5.
Non è di Giorgio Bocca ma mi permetto di aggiungerlo io a corollario o se preferite a sostegno dei ragionamenti fin qui esposti.

5. L’omicidio a Cinisi di Peppino Impastato. Un caso eclatante di tentato depistaggio di indagini che soltanto a distanza di molti anni hanno dimostrato la mano mafiosa, di Tano Badalamenti, in quel efferato e per noi compagni siciliani ancor oggi doloroso delitto.
Voglio ricordare quei fatti per rivendicare una memoria e per rendere giustizia a Peppino.



La mattina del 9 maggio del 1978, intorno ai resti del corpo di Peppino Impastato, circolava un'umanità che avrebbe avuto un ruolo fondamentale, in positivo e negativo, nella battaglia che parte delle istituzioni hanno combattuto contro Cosa Nostra.
Francesco Scozzari. E' uno dei due magistrati a cui viene affidata quasi subito l'inchiesta. Il suo nome finisce sui quotidiani nazionali cinque anni più tardi. Assassinato il consigliere istruttore Rocco Chinnici, Scozzari è travolto dalle accuse registrate nel diario personale del magistrato ucciso. Tra queste l'accusa di avere avuto un atteggiamento morbido in alcuni processi di mafia in cui Scozzari era chiamato a svolgere il ruolo della pubblica accusa. Il Csm l'8 settembre del 1983 lo trasferisce, ma Scozzari preferisce dimettersi dalla magistratura.
Domenico Signorino. E' l'altro magistrato incaricato delle prime indagini. Otto anni dopo l'omicidio Impastato è Pm nel primo maxiprocesso contro le cosche, ma il 3 dicembre del 1992 (pochi mesi dopo le stragi di Falcone e Borsellino), travolto dalle dichiarazioni di alcuni pentiti che lo accusavano di collusioni con i boss, si uccide con un colpo di pistola.
Rocco Chinnici. E' il magistrato che eredita le indagini di Scozzari e Signorino, che ipotizza per la prima volta il delitto di mafia e il depistaggio dei carabinieri che condussero le prime indagini. Viene assassinato il 29 luglio 1983 con un'autobomba insieme a 3 carabinieri e al portiere del suo stabile.
Antonio Subranni. E' il maggiore dei carabinieri che viene ritenuto il principale responsabile delle indagini iniziali dell'Arma. Indagini che escludevano la pista del delitto di mafia e conducevano al suicidio o all'incidente del terrorista. Diventerà generale, comandante del Ros dei carabinieri, consulente della stessa Commissione nazionale antimafia, prima di andare in pensione.
Emanuele Basile. Il capitano dei carabinieri di Monreale, che partecipa alle prime indagini, verrà assassinato dalla mafia il 4 maggio del 1980 per le sue inchieste sull'escalation criminale della cosca corleonese di Totò Riina. Dopo i primi rilievi non parteciperà più all'indagine.
Carmelo Canale. Oggi alla sbarra per concorso in associazione mafiosa (una decina di pentiti lo accusano di avere fornito informazioni riservate ai boss), è l'investigatore che sequestra lettere e documenti di Peppino dalla casa della zia, dove il giovane viveva. Esce da queste carte la lettera dalla quale i carabinieri suppongono una volontà suicida del giovane. Ci vogliono 23 anni ed i consulenti dell'antimafia per scoprire che la lettera ha tutt'altro tono. E sono gli stessi consulenti, sempre 23 anni dopo, e con fatica, ad ottenere dal comando dei carabinieri le carte di Peppino sequestrate (anche informalmente) e mai fornite ai magistrati.
Antonino Lombardo. Il maresciallo dei carabinieri morto suicida il 4 marzo del 1995, cognato di Canale, non partecipa alle indagini sul delitto Impastato. Arriva dopo quel delitto alla compagnia di Terrasini (il comune limitrofo a Cinisi). Accusato di collusioni con i boss della zona, Lombardo (come scrive lui stesso nei rapporti conclusivi dei colloqui avuti nell'autunno del 1994 con il boss Gaetano Badalamenti detenuto negli Usa) in quegli anni raccoglie più di una confidenza del boss Gaetano Badalamenti, ma nulla sarà mai registrato in atti ufficiali riguardo al delitto Impastato.
Boris Giuliano. Il capo della squadra mobile assassinato dal boss Leoluca Bagarella il 21 luglio del 1979, viene visto da più testimoni sul luogo del delitto. Ma non partecipa alle indagini. I carabinieri, pur sostenendo la pista dell'incidente del terrorista, tengono lontani anche gli investigatori della Digos. Giuliano aveva già scoperto il ruolo fondamentale della mafia di quella zona intercettando all'aeroporto due valigie con circa mezzo milione di dollari provenienti dagli Usa (l'incasso di una grande partita di droga) e presumibilmente indirizzate a don Tano Badalamenti. "Esperto di eroina e di lupara", lo derideva dai microfoni di Radio Aut Peppino Impastato, ma pochi in quei giorni lo ricordarono.

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mercoledì 5 agosto 2009

Dubai : tra il paradiso e l'inferno


Isole artificiali, alberghi extralusso e grattacieli postmoderni hanno creato la favola dell’emirato “full-divertimento”. Ma per i lavoratori immigrati vivere a Dubai è un inferno.
Lo sceicco Mohamed, il signore assoluto di Dubai, ha il suo ritratto collocato sopra ben più della metà degli edifici della sua creazione.
Quest’ uomo ha venduto Dubai al mondo come la città delle mille e una luce, come la Shangri-la mediorientale al riparo dalle tempeste di sabbia che spazzano la regione.
Una Manhattan ancora più esagerata e splendente…..

Ma qualcosa nel sorriso dello sceicco Mohamed ha cominciato a vacillare . Le gru sembrano essersi bloccate, come sospese nel tempo, ovunque si vedono edifici abbandonati, incompleti. A cominciare dal gigantesco Hotel Atlantis – un castello rosa costruito in mille giorni, costato un miliardo e mezzo di euro – che adesso sembra l’icona stessa della Dubai che verrà : piove dai soffitti e le tegole si staccano dal tetto.
Questa specie di isola che non c’è è stata edificata su una fantasia che adesso mostra il volto delle sue sempre più numerose crepe . Sempre meno assomiglia a una Manhattan al sole e sempre più a una Islanda nel deserto.

Ora che la frenetica ondata edilizia si è fermata e il vortice della crescita spasmodica ha rallentato, i segreti di Dubai comincia silenziosamente e venire fuori : una città tirata su dal nulla e fondata sul credito dissennato, sull’ecocidio, sulla repressione di qualsiasi voce “stonata”, sullo sfruttamento schiavistico.

Sì. Avete letto bene . Schiavismo, schiavitù, schiavi , catene. Quelli sono i termini per descrivere ciò che accade in un paradiso per pochi eletti e in un inferno per tanti disgraziati e miserabili in cerca di un futuro qualunque.

Il parcheggio di uno dei più rinomati alberghi di Dubai. Qui incontro Karen Andrews.
Una donna esile e spigolosa, con in volto la luminosità sbiadita tipica degli ex ricchi.
Karen non riesce a parlare. Ogni volta che comincia a raccontare la sua storia, china la testa e si accartoccia su se stessa.
Vive e dorme qui da mesi.Nella sua Range Rover. Nessuno ha il coraggio di cacciarla anche da lì.
Karen non avrebbe mai pensato che il suo sogno di Dubai sarebbe finito così.
Mi racconta la sua storia singhiozzando.
E’ arrivava a Dubai nel 2005. Quando una multinazionale ha offerto a suo marito un posto da alto dirigente. Dopo le prime titubanze, atterra in quello che da lì a poco gli sembrò una “Disneyland per adulti” con lo sceicco Mohamed nel ruolo di Topolino.
Racconta….”…la vita era fantastica. Appartamento enorme , un esercito di camerieri, non si pagava un soldo di tasse…sembra che in giro ci fossero solo ricchi…passavamo da una festa all’altra….”.
Suo marito acquistò persino due proprietà immobiliari.
Poi improvvisamente, e per la prima volta nella sua vita, Daniel, suo marito, ha cominciato a fare pasticci nella gestione delle loro finanze : all’inizio sembrava qualche debito in più, un po’ di confusione nella gestione del bilancio familiare.
Karen ha capito il motivo di quei debiti, cosi’ inspiegabili, un anno dopo, quando a Daniel è stato diagnosticato un tumore cerebrale.
Le spese mediche per accertamenti facevano lievitare il peso di quei debiti.
Pensavano che a Dubai funzionasse come in qualsiasi democrazia occidentale ; ma non era cosi’.
A Dubai l’idea di fallimento non esiste, se fai debiti e poi non riesci a saldarli finisci in prigione.

“….Quando l’abbiamo scoperto abbiamo deciso di andarcene da qui…..la buonuscita sarebbe servita a pagare i debiti e andarsene”.
Invece la buonuscita non basto’ a pagare i debiti che restarono sulla loro testa come una condanna.

A Dubai quando lasci un impiego il datore di lavoro è tenuto ad informare la tua banca . Se non saldi immediatamente i tuoi debiti, ti congelano i conti, ti bloccano le carte di credito e ti proibiscono di lasciare il paese.
Sono anche stati sfrattati dalla casa dove abitavano.

Quel giorno, proprio quel giorno, Daniel è stato arrestato e portato via.
Daniel è stato condannato a sei mesi di carcere senza capire una parola del processo perché è stato celebrato in arabo.

“adesso sono anch’io qui illegalmente “ dice Karen , “ non ho soldi, non ho niente, ma devo resistere in qualche modo ancora sei mesi finchè lui non esce”..
Gira lo sguardo quasi vergognata…e mi chiede se posso pagarle un pasto…..

Dubai è piena, mi racconta Karen mentre pranziamo in un ristorante li’ vicino, di espatriati in queste condizioni. Stranieri senza soldi e quindi senza diritti che dormono dove capita nascondendosi alle autorità.

Alla fine Karen ha come uno sfogo, qualcosa che proviene dalle sue viscere, prima che dal suo cervello . Con un tono quasi selvatico urla : “.....questa non è una città, è un imbroglio. Ti attirano dicendoti che è un posto moderno ma dietro le apparenze ti ritrovi nel Medioevo…”.

Sahinal Monir è un ragazzo di 24 anni originario del Bangladesh. Lo ascolto con attenzione osservando il suo viso emaciato e sofferente e il suo corpo estremamente smilzo.

“ ….per farti venire qui ti raccontano che Dubai è un paradiso. Poi arrivi qui e scopri che Dubai è un inferno…..”.

Quattro anni fa nel villaggio di Sahinal, nel sud del Bangladesh, si è presentato un agente di collocamento. Ha detto agli uomini del villaggio che c’era un posto dove avrebbero potuto guadagnare 40 mila takka al mese ( 450 euro circa ndr.) lavorando in un cantiere edile dalle 9 alle 5. Laggiù avrebbero trovato alloggi comodi, vitto eccellente e un ottimo trattamento.
Non dovevano far altro che versare una quota di 220 mila takka per il permesso di lavoro, che avrebbero poi avuti rimborsati mensilmente.
E così Sahinal ha venduto i terreni della sua famiglia, si è fatto prestare dei soldi dallo strozzino del villaggio, ed è partito verso…il paradiso chiamato Dubai.

Appena arrivato all’aeroporto l’impresa edilizia che l’aveva ingaggiato gli ha tolto il passaporto : non l’avrebbe più rivisto.
Poi è stato informato che avrebbe lavorato 14 ore al giorno nel deserto, (dove ai turisti è sconsigliato di sostare più di 5 minuti ) dove la temperatura raggiunge i 55° .
Il tutto per una paga mensile di 500 dirham ( poco più di 100 euro ndr). Meno di un quarto di quanto gli avevano promesso.
Se non ti sta bene- gli avrebbe rudemente detto il manager dell’impresa- puoi tornartene a casa.
Tornare a casa ? E come ? Loro hanno il passaporto e Sahinal non ha i soldi per il biglietto.
E allora fila a lavorare…gli è stato risposto.

Sahinal è stato preso dal panico, Avrebbe guadagnato meno che in Bangladesh mentre i suoi , genitori moglie, figli avrebbero invano atteso le sue rimesse per sopravvivere e ripagare i debiti fatti.

Mi fa vedere la sua stanza. Una cella di cemento armato con cuccette a tre piani. Dodici esseri umani in quell’ angusto spazio , senza gabinetti o meglio con un buco per terra come latrina ( il fetore è insopportabile…), senza climatizzazione, senza nemmeno un ventilatore. E siamo in pieno deserto arabico…..

Non si riesce a dormire. Di notte, mi raccontano, si passa il tempo sudando e grattandosi.
L’acqua che arriva all’accampamento non è destalinizzata ; è salmastra , ci da la nausea, ma non c’è altro da bere, mi dicono.

Ma la cosa peggiore è il lavoro. Devi trasportare mattoni e blocchi di cemento da 50 chili con un caldo inimmaginabile. Sudi al punto che per giorni non riesci a pisciare perché tutti i liquidi ti vengono fuori dalla pelle.

Non è permesso fermarsi se non un’ora al pomeriggio. Se fai cadere qualcosa o scivoli rischi di morire perché qui ogni protezione e ogni presidio di sicurezza è assolutamente sconosciuto.

Si vive ( parola esagerata in queste condizioni…) e si lavora come schiavi.

Chiedo alla ragazza filippina dietro al bancone del bar dell'Hotel dove alloggio se Dubai le piace .
“Non c’è male “ mi risponde cauta.
“Davvero ? Io non la sopporto più”
Lei tira un sospiro di sollievo e si lascia andare “… E’ un posto spaventoso. Non la sopporto nemmeno io : a Dubai è tutto finto. Gli alberi i contratti di lavoro, le isole , i sorrisi….pure l’acqua è finta.

Ma lei, anche lei, mi spiega è in trappola. Per venire qui si è indebitata e adesso deve restarci 3 anni. La solita storia sentita decine di volte. La moderna catena degli schiavi è il denaro, il credito, il prestito.

“ Secondo me “ – aggiunge - “ Dubai è come un miraggio nel deserto, non ha nulla di reale. Da lontano sembra acqua, ma quando provi a berla ti ritrovi la bocca piena di sabbia”.

In quel momento entra un altro cliente . La ragazza sfodera il sorriso largo e vuoto tipico di Dubai …”desidera …?”.

E’ carina. Molto. Ma appare pietosa nelle rughe che intravedo dietro quel sorriso di circostanza .
Il pensiero mi va alle storie italiane lette ieri sera su internet : storie di fanciulle, di uomini ricchi e potenti, di lussi, agi e feste mondane…….

Mi sento impotente, inutile e un po’ colpevole. Come sospeso tra il paradiso e l’inferno di una notte a Dubai…….

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martedì 4 agosto 2009

A Sua Eccellenza Giorgio Napolitano


A Sua Eccellenza Giorgio Napolitano
Presidente della Repubblica Italiana






Signor Presidente


Mi rivolgo a Lei con sincero rispetto e altrettanto sincera ammirazione per la sua figura politica, intellettuale e morale.
Occupo, vorrei occupare, parte del suo prezioso tempo per sottoporle un quesito : o meglio un quesito propedeutico a una serie di quesiti.
Signor Presidente si sta rendendo conto anche Lei dove sta scivolando il nostro Paese? Si sta rendendo conto che la Democrazia è in mano a un personaggio definito dalla di lui moglie “un malato da curare, uno che va con le minorenni “ ?
Si è accorto anche Lei che le Istituzioni, gli Enti Locali, le Assemblee Elettive, sono occupate da Vallette, Veline , Show Girl ed Escort : un modo molto elegante per dire che le puttane frequentano molto da vicino Parlamento e Ministeri ?.
Signor Presidente si è accorto anche Lei che le cariche dello Stato a tutti i livelli sono mercimonio, oggetto di scambio di prestazioni sessuali ?
Si è accorto anche Lei che chiunque osa denunciare tutto ciò è oggetto del peggior attacco politico e personale ? Che la libertà di stampa è ristretta e limitata, essendo giornalisti & giornali, TV incluse, patrimonio personale del Presidente del Consiglio , protagonista e attore di tutto ciò, e che la stessa Magistratura è oggetto di attacchi violenti e ingiuriosi ?
Signor Presidente è d’accordo con me nel ritenere tutto ciò “fascismo delle veline “ e che al posto dei manganelli e delle camicie nere abbiamo perizomi e reggicalze ?
Signor Presidente non ci sto ! Anzi, non ci stiamo !
Riteniamo nostro diritto e nostro dovere difendere l’identità e la matrice antifascista del Paese e della sua Costituzione.
Per questo motivo e da questo momento inizio, assieme a tanti altri, la lotta di liberazione del Paese da chi indegnamente l’ha ridotto a un bordello.

Cordialmente e ossequiosamente invio cordiali saluti.

Uno qualsiasi dei Nuovi Partigiani


Palermo , 4 Agosto 2009

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sabato 1 agosto 2009

Italia . Aumenta la povertà, soprattutto tra le famiglie con quattro componenti e nel Meridione


Quasi 2,9 milioni di italiani (2.893.000) vivono in una condizione di povertà assolutaI più poveri tra i poveri sono pari al 4,9% dell'intera popolazione (era il 4,1% nel 2007) e rappresentano il 4,6% delle famiglie residenti (1.126.000). E' quanto rileva l'Istat nel rapporto sulla povertà in Italia nel 2008. Ad essere più colpito è il Mezzogiorno: dal 2007 al 2008, l'incidenza di povertà assoluta è rimasta sostanzialmente stabile a livello nazionale, ma è significativamente aumentata al Sud, passando dal 5,8% al 7,9%, contro il 2,9% del Centro e il 3,2% del Nord. Inoltre la condizione di povertà assoluta peggiora tra le famiglie di quattro componenti, in particolare coppie con due figlie soprattutto se minori, ma anche tra le famiglie con a capo una persona con licenza media inferiore, con meno di 45 anni o con a capo un lavoratore autonomo. L'incidenza aumenta, inoltre, tra quelle famiglie che hanno un componente in cerca di occupazione, soprattutto quando si tratta della persona di riferimento. Per i tecnici dell'Istat, in sostanza nel 2008 "peggiora chi già stava peggio e i segmenti di famiglie che prima si collocavano sopra la media". Quanto al 2009, "bisognerà vedere come andrà, ma le caratteristiche delineate già nel 2008 sono quelle tipiche della crisi".

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LA MAFIA E UNA IDEA DELLO STATO CHE NON ESISTE


C’era o non c’era nel 1992 una trattativa in corso tra Stato e mafia, le cui richieste sarebbero contenute nel “papello” di cui dice di essere in possesso il giovane Ciancimino? E Borsellino è stato ucciso perché si opponeva a tale accordo?Negli ultimi giorni le dichiarazioni di Riina e quelle del figlio di Vito Ciancimino sul periodo delle stragi, durante il quale perirono i giudici Falcone e Borsellino, hanno riaperto l’antica e dibattuta questione dei rapporti tra mafia e Stato.

C’era o non c’era nel 1992 una trattativa in corso tra Stato e mafia, le cui richieste sarebbero contenute nel “papello” di cui dice di essere in possesso il giovane Ciancimino? E Borsellino è stato ucciso perché si opponeva a tale accordo?

Tali questioni dovranno essere chiarite, si spera, in sede giudiziaria, dai magistrati che hanno aperto l’inchiesta sull’assassinio di Borsellino, e poi approfondite in sede storica.

Ad ogni modo, anche questa volta, come sempre, nella cronaca si torna ad abusare di espressioni come “servizi segreti più o meno occulti o magari border line tra Stato e antistato” o come “servizi segreti più o meno deviati” che avrebbero fatto da tramite tra mafia e soggetti istituzionali (il Sole24ore del 21 luglio). Si tratta di definizioni fuorvianti.

Infatti, i termini di servizi “deviati” o “border line” e di “antistato” presuppongono una idea dello Stato che non corrisponde alla realtà storica e sociologica.

Lo Stato è tutt’altro che un organismo unitario. È, viceversa, un organismo caratterizzato dalla lotta tra gruppi in competizione tra di loro per il potere. L’equilibrio tra le forze in lotta, che a volte risulta da queste lotte, è sempre instabile.

Esiste, però, una unitarietà dello Stato che non è mai venuta a mancare neanche nel Mezzogiorno d’Italia, dall’Unità ad oggi. Quale? Quella nei confronti delle classi subalterne.

Lo Stato, secondo il sociologo Max Weber, è caratterizzato dall’esercizio del monopolio della forza, o, detto in modo più esplicito, della violenza in un dato territorio.

Bisogna, però, precisare che questo monopolio risponde agli interessi di chi detiene il potere economico ed è diretto verso le classi subalterne.

Difatti, la violenza in Sicilia è stata esercitata sempre contro le classi dominate, contadini, braccianti e operai, con l’ausilio determinante della mafia ed il consenso più o meno tacito dello Stato “ufficiale”, in tutti i momenti della storia italiana e isolana in cui era in atto un risveglio popolare, dalla repressione dei Fasci siciliani nel 1891, a Portella della Ginestra, fino ad oggi. Non pochi, a destra ma non solo, sono convinti che Mussolini abbia combattuto e sconfitto la mafia.

La verità è che il prefetto Mori, mandato nell’isola dal dittatore con pieni poteri, ebbe campo libero nell’eliminazione delle bande dei briganti (criminalità popolare e bassa manovalanza della mafia), ma quando fece per volgersi contro i grandi proprietari, che della mafia erano il nucleo direttivo, fu nominato senatore e richiamato a Roma.

Nell’Italia repubblicana la mafia ha trovato forse il suo migliore terreno di sviluppo. I processi di costruzione del consenso, tipici di una democrazia rappresentativa, si basano in primo luogo sul controllo del territorio, che è essenzialmente controllo economico, e, visto che la mafia ha il controllo dell’economia, ha anche quello del territorio.

Il sociologo Arlacchi già da molto tempo ha parlato di “mafia imprenditrice” e lo stesso Borsellino fu molto chiaro sui legami, chiaramente di classe, tra capitali di provenienza criminale e finanza del Nord.

La faccia esplicitamente militare della mafia è subalterna e funzionale a quella imprenditoriale, decisiva e alla fine anche più pericolosa.

A seguito della caduta del muro di Berlino, l’Italia ha vissuto, all’inizio degli anni 90, un processo di trasformazione che, spazzando via partiti e politici chiave in decenni di storia patria, metteva in discussione vecchi equilibri di potere e, nello specifico, privava di referenti politici la mafia.

Il periodo delle stragi va inquadrato in quel contesto. Oggi, nel 2009, la lunga transizione dalla prima alla seconda Repubblica non è ancora terminata, soprattutto per la presenza ingombrante di Berlusconi, che non a caso, proprio in Sicilia, fa il pienone di voti e ora con lo scudo fiscale permette il rientro di capitali di incerta origine, detenuti nei paradisi fiscali.

Nella lunga transizione verso la seconda Repubblica i rapporti tra istituzioni e classi subalterne sono stati quasi del tutto “regolarizzati”, essendo l’influenza sulla gestione dello Stato da parte di queste ormai ridotta la lumicino.

Tra i gruppi dominanti, al contrario, la lotta è ancora accesa e si accentua per le spinte centrifughe della globalizzazione (che internazionalizza il capitale mafioso) e per la crisi, che rendono più difficile la composizione di un blocco sociale dominante.

Più che parlare di “antistato” e di servizi “deviati”, ci si dovrebbe porre la questione di che cosa è lo Stato oggi, e, conseguentemente, di come operare per una sua effettiva democratizzazione, in Sicilia come nel resto d’Italia, che non può che passare per l’influenza delle classi subalterne sulla sua struttura e sulla direzione che assume.

Il fronte giudiziario della lotta alla mafia è fondamentale, ma è solo impedendo l’accumulazione e la libera circolazione del capitale mafioso, attraverso politiche pubbliche centrali, che quella lotta diventa efficace.

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